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"Poeta estroso, cordiale e raffinato, con il suo sublime dal basso, capace di convocare tutti i tempi e tutti i luoghi della poesia, tutti i poeti da Orfeo in poi, con la sua chioma candida e il viso da eterno ragazzo, attento e stupito dalla meraviglia dell'attimo e dal mistero dei giorni e della spedizione umana, Giuliano canta le bestie e le piante, le stelle e gli dèi, che per lui non sono mai fuggiti, ma stanno nel reale come le nostre domande, i nostri ritmi inventivi, sorpresi dalla inarrestabile pregnanza e duttilità della lingua materna e fraterna, tanto che Scabia pare un poeta volgare del Duemila, catapultato dal Trecento nell'era globale. Egli è leggero, ma per gravità, profondo, come un mare neologizzante, per onomatopea del passo e del tremito, suo concetto-chiave, che sta per emozione, corpo canoro. Cosi, come un Palazzeschi che non si diverta, ma che si emozioni, è soprattutto capace di far passare negli altri l'emozione, e cioè di commuoverci e rallegrarci." (Gianni D'Elia)